L’effluvio pungente e umido della notte stava virando sentore, accogliendo avvisaglie di note dolci e tiepide della foresta ridesta.
Il colibrì sollevò il capo dal nido e poggiò il sottile becco sul bordo, lasciando che il torpore si dissipasse dalle piume arruffate. Era un richiamo che dall’aroma in un fremito si insinuò in tutto il corpo, toccando corde per ridestarle alla vibrazione.
Accogliendo in un respiro quella promessa si librò in alto, immobile, in attesa di quel bagliore, rivolto ad est.
Dall’intrico tra rami e fronde la cascata di stille dorate s’insinuò e poi sommerse dell’energia di un altro giorno, carezzando ogni foglia, ogni sottile stelo, ogni palpito, preludio di vita, di dono nuovo. Il colibrì inspirò appieno, e saturo ed ebbro si tuffò nella realtà di sempre.
Sorvolò foresta, siepi, campi, vibrando nel suo volo fremente, guidato dall’aroma su di un fiore, poi un altro, un altro ancora, in una danza sinuosa, volteggiando, inclinandosi, risalendo a spirale, circondando le foglie e sfiorando la terra. Finché giunse in un luogo finora inesplorato e lì sostò, a mezz’aria, accogliendo devotamente, gustando con gli occhi ogni angolo, ogni fremito di vita, lasciando i suoni echeggiare in lui, i profumi ammaliarlo.
Là nel mezzo lo vide e si avvicinò: un fiore candido e splendente, sulle cui curve sensuali di velluto le delicate dita della luce accendevano riflessi iridescenti, sotto ai cui stami dorati stillava nettare inebriante, la cui presenza, discreta e fiera, riconduceva a sacri lidi. Il colibrì intessé attorno a lui il suo dono di voli, con l’eleganza e la passione che possedeva, avvolgendolo senza sfiorarlo, assimilando la sua energia e infondendogli la propria. Era appagato da quel contatto senza alcun tocco, che non osò neppure suggerlo, temendo di profanare quell’equilibrio. Il fiore niveo gli rammentava con l’emozione un’intenzione, offrirsi spogli, senza ritorno, essere pioggia, essere luce, essere aroma, senza sperare qualcosa in più, bearsi solo dell’accoglienza e dell’offerta.
Ogni giorno il colibrì cantò la danza della sua vita con entusiasmo e riconoscenza, e tutti i giorni si recò là a rendere omaggio, alla bellezza, all’armonia, alle emozioni, alla poesia dell’esserci, uno per l’altro, senza possesso, nell’infinito fluire e divenire delle anime che si toccano.